La via italiana all’informale: Ultime tendenze

A cura di Virgilio Patarini. 

 

Opere di Annamaria Angelini, Walter Bernardi, Alberto Besson, Italo Bolano, Andrea Boldrini, Andrea Borghi, Marco Bozzini, Maurizio Carpanelli, Valentina Carrera, Giuseppe De Michele, Bruno De Santi, Siberiana Di Cocco, Paolo Facchinetti, Graziano Ferrari, Gabrielli Ersilietta, Caroline Gallois, Silvio Gatto, Renato Giananti, Andrea Greco, Michelle Hold, Vincenzo Maddaloni, Fiorella Manzini, Maurizio Molteni, Giancarlo Nucci, Andrea Paganini, Moreno Panozzo, Francesco Partipilo, Emanuele Racca, Realismo Astratto (Susi & Paolinelli), Andrea Romero, Brigitta Rossetti, Alessandro Rossi, Elena Schellino, Luciana Schiazza, Mariangela Tirnetta, Fabrizio Trotta, Lyudmila Vasilieva, Marta Vezzoli.

 

 

L’Informale non è morto

Questa mostra nasce da un libro. Di solito è il contrario: prima nasce l’idea di una mostra, si scelgono gli artisti e le opere, e alla fine arriva il catalogo. In questo caso invece in principio era la parola: un libro intitolato “La via italiana all’Informale. Da Afro, Vedova e Burri alle ultime tendenze” che non ha certo la pretesa di raccontare per filo e per segno la storia dell’Informale in Italia, ma che per la prima volta cerca di rompere certi automatismi accademici che considerano esaurita l’esperienza Informale, in Italia come negli altri paesi del mondo, dopo circa quindici anni di storia: dal 1948 al 1963, anno più anno meno. Come se tutto l’Informale che viene dopo fosse solo opera di epigoni. Come se la verve e l’ispirazione dei grandi maestri dopo quella data si esaurisse. Come se l’Informale fosse una delle tante, importantissime ma effimere, avanguardie del secolo. L’Informale è qualcosa di diverso: qualcosa di più e qualcosa di meno delle altre Avanguardie. Ma soprattutto è una vera e propria rivoluzione epocale: per la prima volta nella storia dell’Arte si concepisce un quadro senza figure, senza alcun riferimento alla realtà nè a forme geometriche nè a elementi simbolici. Si tratta di una rivoluzione analoga a quella provocata dall’invenzione della Prospettiva. Qualcuno si sognerebbe mai di dire che Caravaggio è un epigono rispetto a Leonardo o Michelangelo perchè come costoro usava la Prospettiva? O ancora peggio Leonardo e Michelangelo rispetto a Masaccio...

 

Virgilio Patarini